Natura matrigna, oppure figli ingrati?

Estratto dalla rivista AIMAN – MANUTENZIONE & ASSET MANAGEMENT MARZO 2024

 

Giuseppe Adriani
Giuseppe Adriani

Esplorando il ruolo dell’uomo nell’addomesticamento della natura e le sfide ambientali, analizziamo come il cambiamento climatico, influenzato da vari fattori dinamici, e l’avanzamento tecnologico, con modelli complessi e super-computer di ultima generazione, condizionano le nostre vite e le scelte, ponendo l’accento sull’importanza di comprendere e affrontare le sfide del futuro prossimo.

Il nostro globo terracqueo, con più acqua che terra in realtà, rappresenta lo spazio fisico in cui la “natura” si esprime secondo le sue regole chimico/fisiche, al momento solo in parte comprensibili a noi umani. Si tratta dell’insieme dei cosiddetti “regni”, tra cui predomina il minerale/inorganico, indispensabile substrato per il vegetale e l’animale, le cui frontiere nel tempo (con l’approfondirsi della ricerca scientifica) si sono dimostrate meno nette di quanto ipotizzato. Un virus silente si può presentare come un cristallo, ma poi si trasforma in qualcosa capace di replicare se stesso a ritmi incredibili, come un “vivente” qualsiasi, mentre alcuni pesci o anfibi sprofondano nel fango nei periodi di siccità, trasformandosi in delle specie di fossili, liofilizzati. Ma non appena la pioggia inzuppa il suolo, questi oggetti inanimati si riattivano, ricominciando a nuotare come se nulla fosse! Tali forme estreme di adattamento sono riservate a specie da noi ritenute non troppo evolute nella “scala gerarchica”. Noi umani abbiamo perso molto della duttilità e capacità di adattamento, rispetto ai primati originali da cui deriviamo. Di fronte alle trasformazioni radicali degli habitat che ci hanno ospitato nei millenni della nostra storia, abbiamo scelto di migrare, spostandoci prima come piccoli clan verso luoghi più accoglienti o ospitali, poi con veri e propri ri-dislocamenti di intere popolazioni quando si sono dovute fronteggiare catastrofi ambientali di grande portata. Partire è un po’ morire, narra la tradizione, ma è anche vero che talvolta è impossibile permanere in una terra devastata dalle carestie. Questa è la sintesi sbrigativa di un racconto lungo oltre 20.000 anni, in cui uomini e donne fisicamente identici a noi (a parte barba, capelli ed orpelli vari) hanno influito ben poco sulle trasformazioni geo-morfologiche globali. Il clima, da cui deriva l’acqua per irrigare, condizionato da un astro, il Sole, con il caldo conseguente, era una divinità potente che si esprimeva secondo umori imprevedibili.

Lo si subiva e si cercava di accondiscendere a certe spregiudicatezze facendo buon viso a cattiva sorte. La foresta avanzava verso la savana (o viceversa) e la capacità di tamponare le situazioni estreme era in parte garantita. Un grande volano vegetale, collegato alla vastità delle foreste primigenie, poteva mitigare certe intemperanze della divinità del momento!

Il peccato originale

Chi accusa la donna del misfatto ancestrale è ovviamente l’uomo sacerdote che ha trovato le giustificazioni alle nefandezze conseguenza della perdita di libertà delle origini, quando un cacciatore sino ad allora impegnato “solo” a procurare la carne, divenne schiavo dei cicli stagionali per seguire la germinazione di piante alimentari. In questa fase storica si innesca un meccanismo “perverso” di asservimento alla terra, ma indispensabile allo sviluppo anche culturale della nostra specie, tramite l’addomesticamento di “madre natura” che elargisce i suoi doni, sotto forma di frutti, animali, cibo in generale, per nutrire il corpo ma anche la mente.

Sappiamo che, a seguito di impercettibili oscillazioni dell’asse di rotazione della Terra e talvolta di concomitanti tempeste solari, il clima può drasticamente trasformarsi, essendo collegato ad un insieme di fattori dinamici, del tutto imprevedibili. La sottile “pellicola” di aria respirabile che ci circonda e che non si spinge molto oltre gli 8/9 Km in altezza – chiamata atmosfera – è un grande calderone in cui si manifestano fenomeni legati a turbolenze dalle dimensioni continentali. Ma le diverse aree geografiche hanno da sempre una loro peculiarità climatica e le forme di vita indigene si sono nel tempo adattate ai regimi meteorici locali. Se potessimo indire un “referendum di gradimento climatico”, il 90% degli intervistati sceglierebbe di abitare (e lo dimostrano i fatti di questi anni) in una regione dal clima temperato, e perché no, mediterraneo! Con l’Italia al top della hit parade. Del resto, le rive del “mare nostrum” sono da sempre la culla di molteplici civiltà, che da qui si sono irradiate verso terre più ostili climaticamente.

Il clima temperato (mai troppo caldo, né troppo freddo, con piacevoli stagioni intermedie) è frutto di un equilibrio assai fragile; in gran parte influenzato dalle correnti marine (vero volano climatico) con diversa salinità, assieme alle masse d’aria a queste collegate, ed altri parametri tuttora in via di definizione. Tali variabili possono innescare sconvolgimenti che modificano in maniera importante il quadro d’insieme, di fatto annullando il significato pratico dei tanti proverbi, in merito al “tempo” che farà. Un retaggio storico della tradizione orale con cui il contadino, o il pescatore del passato (spesso analfabeti) si confrontavano per affrontare gli impegni salienti dell’anno solare. Oggi occorrono modelli complessi gestiti da super-computer di ultima generazione che nonostante ciò molto spesso sottostimano l’entità dei fenomeni avversi che si abbattono sul nostro territorio. Anche l’agricoltore 4.0 di nuova generazione, con un master in discipline legate alla cura del territorio, si trova del tutto spiazzato di fronte a masse d’aria che di recente si muovono ad oltre 100 Km/h! Le serre in policarbonato si sbriciolano sotto il bombardamento di chicchi di grandine di oltre 3 cm di diametro. Il mondo intero si interroga su “dove” accadrà il prossimo evento catastrofico, non sul “se”, avendo capito che il trend innescato da una concomitanza di eventi, tra cui l’aumento della concentrazione di CO2 rimane ostile. Sempre più ci rendiamo conto che le dinamiche umane da cui derivano liti di confine, “scaramucce” che alla lunga possono innescare vere e proprie guerre, traggono origine dal clima che in maniera sempre più profonda condiziona le nostre scelte quotidiane.


Articolo di: Giuseppe Adriani
Membro del Consiglio Direttivo e coordinatore regionale A.I.MAN. Toscana

LA VOCE DEL CTS_MARZO 2024

Natura matrigna, oppure figli ingrati?