La domanda è pertinente. Per il gestore di un impianto, si tratta di una legittima richiesta di chiarimenti: a sé stessi in primis, ed in seconda battuta a chi viene a proporre una simile attività di “ricognizione” all’interno dei propri assets.Il ricorso a metodiche di Manutenzione Predittiva, di cui le analisi dell’olio usato fanno parte, in ottica di condition monitoring, è un’esigenza che si è sviluppata nel tempo, successivamente all’introduzione di dottrine gestionali che tenevano conto di questioni legate a Qualità e Sicurezza, ma non solo. Superata la fase eroica di ricostruzione/rinnovamento post-bellico, intorno agli anni ’80 sono stati avviati processi logici/politici che hanno trasformato la percezione dell’ambiente industriale, come produzione, efficienza e redditività. La fase del commissioning (successiva alla parte più teorica/progettuale) diviene un momento di attenzione ai “dettagli minimali” che comportano importanti progressi in termini di affidabilità. Ciò vale nel mondo industriale, ma anche nel campo dei trasporti e di tutte le molteplici attività produttive, dove il semplice “fare” non soddisfa più la domanda. Ed ecco che il tecnico competente scopre nuove funzionalità di apparecchiature, un tempo ostiche e “difficili”, con cui procedere ad accurati allineamenti o equilibrature di pezzi che ruotano ad alte velocità. Una pompa (ed i suoi cuscinetti) se ben flangiata e posizionata risulta meno rumorosa, e quindi dissipa meno energia ed il “segnale” che invia nel mondo circostante è di natura tranquillizzante. Scopriamo che le “avverse fatalità” sono in realtà un mix di improvvisazione (per esempio errori di dimensionamento o compatibilità) e scarsa cura dei dettagli (come le condizioni iniziali di pulizia dei componenti).
Per i componenti dinamici/volventi la tecnica di riferimento diviene quindi la misura delle vibrazioni e dell’acustica in senso lato. Accelerometri, misuratori di “spike” od ultrasuoni; sono comunque sistemi diagnostici raffinati capaci di quantificare il “rumore” confrontandolo con archivi analitici, per ricavare linee guida. Con l’aumentare della criticità ed esasperazione nell’impiego dei componenti (maggior velocità, carico, riduzione di ingombri) scopriamo che l’allineamento tradizionale con le “squadrette” non risulta più sufficiente. O forse il personale ha perso quelle competenze (retaggio di tradizioni ed esperienze passate) a cui si ricorreva in maniera scontata. Diviene quindi indispensabile il ricorso a sistemi “assistiti” (allineamento Laser) oppure l’assistenza in outsourcing da parte di figure specialistiche.
Ed il lubrificante?
Abbiamo visto che è assodato ricorrere a diverse tecniche di indagine diagnostica per prevenire (predire e gestire) il danno meccanico in macchine rotanti (così come numerose sono le “PnD” da applicare in altri campi industriali); d’altra parte, non risulta così ovvio monitorare le condizioni operative di un lubrificante, se non a fronte di un problema conclamato. In pratica, solo in presenza di un’anomalia grave, talvolta addirittura un’avaria funzionale, il gestore dell’impianto è portato a domandarsi quanto di ciò che è accaduto può avere le sue “cause prime” nel lubrificante impiegato. La risposta che ci si attende da parte dell’interlocutore (in questa fase è indispensabile ottenere l’avallo da parte di un laboratorio specializzato e prestigioso) è inerente alla qualità intrinseca del prodotto impiegato, da nuovo, in termini di rispondenza alle specifiche cogenti dettate dal costruttore del macchinario. Si ricerca cioè l’eventuale truffa ai danni dell’utente in una spirale infinita di colpevoli mancanze: “Chi ha sbagliato, paghi!”. A chi ha dimestichezza con tali argomenti risulta molto facile demolire un simile impianto accusatorio. A danno conclamato, la catena causa-effetto risulta assai difficilmente ricostruibile in termini logici e inconfutabili; l’olio che circolava all’interno del meccanismo, in conseguenza dell’avaria, ha subito numerose, sostanziali alterazioni tali da renderlo un “testimone inaffidabile”. Capita sovente (troppo sovente purtroppo) di dover ascoltare lunghe “filippiche telefoniche” da parte di clienti che si lamentano di performance non adeguate di prodotti apparentemente superlativi. Molto spesso il fiume di parole dell’interlocutore si arresta di fronte a domanda banali del tipo:
« da quante ore eserciva il lubrificante? »
« che tipo di filtrazione era presente nel sistema? »
Come abbiamo accennato nella premessa, una macchina rotante “rumorosa” ha probabilmente qualcosa che non funziona in maniera ottimale. Se fosse possibile toccarla con mano (o, meglio, si disponesse di un’immagine termografica) si scoprirebbero dei “punti caldi” come un sintomo di funzionamento non ottimale, possibili premonitori di danni futuri. In presenza di olio lubrificante, o ancor più con lubrificazione a grasso, il “rumore percepibile” viene fortemente smorzato fino quasi al suo annullamento. Ma con gli strumenti più idonei, l’evidenza dell’evento (anche se confinata in ambiti limitati e non facilmente raggiungibili) non perde di significato: si tratta solo di essere in grado di “leggere il fenomeno”.
Parliamo di diagnostica
In una moderna industria sono presenti una moltitudine di specie di macchine: alcune, particolarmente complesse, risultano il frutto delle personalizzazioni richieste dalla specificità dei vari processi in corso. Le tipologie possono comunque essere ricondotte ad alcune categorie principali, tra queste troviamo: Compressori (volumetrici e dinamici), Ingranaggi e riduttori (collegati ad agitatori, estrusori, o semplici rinvii), Turbine, Generatori e Pompe, oltre a Centraline oleodinamiche per il controllo, lo stampaggio, la manipolazione nei centri di lavoro, e così via. Questa miriade di macchine è lubrificata attraverso circuiti talvolta assai complessi, sotto pressione, oppure con sistemi a sbattimento, con o senza filtrazione. La storia (potremmo dire “la vita segreta”) di tali apparati rimane confinata all’interno di ognuno, e si conserva sotto forma di quelle infinitesimali trasformazioni e contaminazioni che l’olio subisce, mentre giornalmente ne lubrifica tutti i più reconditi meandri. Sono segnali deboli, talvolta appena rilevabili, mediante strumentazioni molto sofisticate in grado di apprezzare fino a pochi ppm di metalli (parti per milione o grammi su Tonnellata di olio), o di distinguere il livello di contaminazione, secondo i codici ISO o NAS. La valutazione di questi dati analitici (in assoluto, o come variazione percentuale nel tempo, il cosiddetto trend) consente di formulare precise diagnosi sullo stato di salute dei principali componenti, permettendo di decidere con notevole tempismo, come e quando intervenire per cautelarsi dall’insorgere di un danno meccanico. Il parallelo con la fisiologia umana e le molteplici funzioni svolte dal sangue circolante è molto evidente. Così come per un serio progetto di medicina preventiva il far ricorso risulta indispensabile alla diagnostica clinica, altrettanto essenziali divengono le risultanze analitiche che scaturiscono da un campione di olio sottoposto ai controlli tribologici di routine, per poter prendere tutte quelle decisioni preventive e correttive realmente necessarie per la manutenzione corrente. Durante la fase di rodaggio ed assestamento, dopo una brusca impennata iniziale, i parametri relativi al rilascio di particolato metallico decrementano, fino ai limiti fisiologici; qualcosa di simile avviene anche a carico di alcuni parametri più propriamente chimico-fisici, come la viscosità e la presenza di additivi. Ben diversa è la situazione che si prospetta all’approssimarsi di un guasto meccanico. Grazie all’identificazione di alcuni indici alterati, è possibile formulare una precisa diagnosi sulla vita utile residua del macchinario e del lubrificante oggetto dell’indagine. Per ogni tipologia di componente del ciclo produttivo, esistono specifici segnali analitici, da monitorare con attenzione, proprio per indirizzare al meglio l’intervento di prevenzione.
di Alessandro Paccagnini,
estratto da Manutenzione edizione Febbraio 2011