I notevoli benefici – talvolta inattesi – derivanti dal conditions’ monitoring
Estratto dalla rivista AIMAN – MANUTENZIONE & ASSET MANAGEMENT MARZO 2024
In questo numero della nostra rivista, sempre più seguita per il livello dei preziosi contributi, si affronta il tema del service e dei progressi legati al miglioramento delle tecniche di indagine diagnostica: sia in termini di infrastrutture e tecnologie disponibili in campo, sia di strumenti informatici sempre più smart per rendere fruibili le enormi quantità di dati (big e trasversali…) che provengono dagli impianti.
Quando il team coinvolto e gli elementi di valutazione introdotti sugli impianti (oggi si sta diffondendo la “I.O.T.” per collegare i vari assets) riescono a dialogare in maniera sinergica, il risultato ottenuto, è spesso assai superiore alle aspettative, in termini di affidabilità e di efficienza. Come raccontavo in passato è fondamentale dare il giusto merito alla squadra che vince, riconoscendo i traguardi raggiunti.
Come conseguenza di certe scelte di carattere predittivo, ci sono state ricadute inattese (vere e proprie sorprese) che rendono ancora più stimolante questa sfida, basata inizialmente sul controllo delle cause prime del guasto. In questa mia prefazione agli articoli del mese corrente vorrei raccontare come dalla nostra esperienza pratica delle tecniche di conditions monitoring attraverso analisi oli lubrificanti siano derivati vantaggi inimmaginabili ai fini gestionali.
Quando iniziammo a ragionare dei “controlli tribologici” dei lubrificanti – e ancora oggi non sono convinto che la dizione fosse la più corretta, ma piacque ed attecchì – agli inizi Anni ’90 del secolo trascorso non ci furono grandi adesioni a tale progetto. Diciamo che da parte degli interlocutori di allora, tradizionali operatori di una manutenzione “a guasto”, si denotava una certa diffidenza verso una metodica giudicata troppo sofisticata per essere applicata su impianti industriali di grossa taglia. Che il vero nemico strisciante di un macchinario del peso di varie tonnellate, con centinaia di litri di olio nella pancia, fosse proprio quell’insieme di particelle ai limiti del visibile, che per di più solo un ente terzo poteva catalogare per severità, sembrava un’eresia. La tecnica disponibile – si ricorreva a strumenti più adatti alla medicina tradizionale, che all’ingegneria) era ancora agli albori, ma mostrava già dei risultati promettenti. Ammesso che qualcuno si fosse fidato, concedendo il permesso di effettuare un semplice test.
Sempre in ambito di scelte lessicali gli esami di allora venivano qualificati da alcuni interlocutori come analisi su oli esausti con ciò condannando allo smaltimento prodotti lubrificanti molto spesso in perfetto stato. Del resto, era l’epoca in cui si prediligeva il nuovo, rispetto al riciclo. Ma al tempo stesso si percepiva la voglia da parte di alcuni personaggi più evoluti di affrontare una nuova sfida, di indagare, cioè, assieme a noi – coinvolti in prima persona – le potenzialità di un’indagine raffinata, in grado di amplificare i segnali deboli insiti in una goccia d’olio, per affrontare scelte decisionali di importanza strategica. Mentre in contemporanea si sviluppavano PC dalle prestazioni incredibili e internet consentiva la comunicazione celere di messaggi in grado di far prendere decisioni just in time capaci di circoscrivere l’evoluzione di un guasto, altrimenti catastrofico. E grazie a qualche colpo di fortuna diciamo così – in realtà un oscuro lavoro di elaborazione di dati molto complessi e senza un vero archivio storico sedimentato – potemmo superare la fase dell’incertezza creando le basi di un approccio metodologico divenuto in seguito una vera disciplina normata a livello internazionale. Una delle ricadute più originali (non scontata in quella fase) è oggi divenuta argomento di grande attenzione mediatica, ma non solo.
Parliamo di Sostenibilità; un tema che va per la maggiore da quando abbiamo scoperto (diciamo così – oggi – in maniera ipocrita, ma in realtà tutti ne eravamo ben consci, da tempo) che le risorse mondiali sono “finite” ed occorre riequilibrare il modello dei consumi.
La crescita culturale degli interlocutori, unita alla cogente necessità di limitare consumi di materie prime ha portato ad una consapevolezza nuova a livello di gestione impianti. La filtrazione dei fluidi, oleodinamici, ma anche lubrificanti, è divenuta una procedura apprezzata ed anzi raccomandata dai costruttori degli impianti, partendo dal presupposto che il nuovo a qualunque livello non è di per sé esente da pecche. E lo sporco invisibile è dannoso almeno quanto quello macroscopico. Questo processo di carattere soprattutto culturale, in cui la tecnologia ha portato non pochi contributi, tra cui una nuova attenzione nei confronti dei lubrificanti in generale. Divenuti oggi prodotti innovativi, di larghissimo consumo da conservare con attenzione, offrendo loro una vita utile più che durevole, a tutto vantaggio di un ambiente sempre più fragile.
Quando iniziammo il nostro misconosciuto lavoro 35 anni fa – ed erano davvero altri tempi – coniammo questo slogan (un pezzo di storia, divenuto un caposaldo della Manutenzione Predittiva italiana): “Questa goccia di olio racchiude un messaggio prezioso”. Per gli oramai ben noti motivi tecnico-pratici, ma in quella fase la Sostenibilità non sembrava prioritaria!
Articolo di: Giuseppe Adriani
Membro del Consiglio Direttivo e coordinatore regionale A.I.MAN. Toscana
EDITORIALE_MANUTENZIONE & ASSET MANAGEMENT MARZO 24